Ur-musicofascio

Ur-musicofascio, detto anche:
il musicista di m... *

* Se non capite l'ironia, chiudete subito questa pagina e andate a letto.
Possibilmente non tornate più.** Grazie.


** Anche questa è ironia. Tornate e datemi i vostri soldi.***


*** Questa non è ironia, datemi DAVVERO i vostri soldi.


Mi sono imbattuto in una lettura interessante ma molto slegata dal mondo della musica: “Cinque Scritti Morali” di Umberto Eco. Non sono qui per parlare dell’etica secondo Eco, ma per fare un pericoloso parallelismo; il secondo scritto del libro s’intitola “Il fascismo eterno”, l’Ur-fascismo, ed espone una serie di punti, “una lista di caratteristiche tipiche” che ci aiutano a riconoscere i semi da cui nasce il movimento politico più temuto degli ultimi tempi (e non solo) ed è ”sufficiente che una di loro sia presente per far coagulare una nebulosa fascista” ci dice il saggista.


Essendo un musicista, il pericoloso parallelismo nella mia testa è stato immediato: come riconosco un Ur-musicofascio? Ovvero: come riconosco un musicista che non mi porterà altro che rogne, frustrazione, chiusura mentale e cattivi consigli?


Mi sono permesso, con un po’ di audacia, di riprendere e parafrasare i 14 punti con cui Eco ha esposto il suo monito per le generazioni future, sperando di non offendere la sua memoria e i colleghi musicisti (ma se qualcuno rimanesse offeso dai seguenti punti, bingo!).


Non vuole essere un articolo di carattere politico: chi si sentisse offeso per l’epiteto utilizzato, o per le critiche (velate o non) e i riferimenti alle caratteristiche intrinseche fascismo, potrà constatare che è tutto un puro riferimento allo scritto di Eco, che a mia opinione, si dimostra uno scrittore oggettivo e colto in ambito storico.
Le vostre idee politiche non sta a me giudicarle in questo luogo.


Detto ciò, se ritrovate uno o più di questi punti in dei musicisti, è un segnale che potreste aver trovato un Ur-musicofascio.

  1. La prima caratteristica di un Ur-musicofascio è la cultura della tradizione.

Questo musicista è convinto che esista fin dall’alba della storia umana una verità assoluta, una musica con stilemi puri e immodificabili, tramandata di strumento in strumento, di partitura in partitura, da corda vocale a corda vocale; ogni musicista di qualsivoglia estrazione musicale tramandava questo archetipo alla propria maniera. “Una verità primitiva già stata annunciata che quindi preclude una possibilità di evoluzione”; nessuno slancio creativo è possibile al di là della verità assoluta, al di là della tradizione che questo musicista ha elucubrato ed infine deciso nella sua stanzetta buia e priva di finestre per anni e anni, passando da una Garzantina della musica alla bibbia. Quale sia questa musica lo sa solo lui.

  1. Al primo punto si associa un rifiuto per la tecnologia.

Dite addio alle chitarre elettriche, dite addio ai synth, dite addio alla musica in streaming, CD, musicassette, vinili, dite addio agli amplificatori, dite addio alle cuffie, dite addio agli strumenti in serie, dite addio alle DAW, dite addio ai microfoni, dite addio a qualsiasi macchinario per la costruzione degli strumenti…Insomma, dite addio a tutto ciò che ha bisogno di corrente elettrica per essere suonato o prodotto. Tutto il resto potete usarlo. Perché la sua tradizione è antica e non ammette variazioni o novità.

  1. Il culto dell’azione per l’azione.

Cito: “L’azione è bella di per sé, e dunque deve essere attuata prima di e senza una qualunque riflessione.” Suonare a caso è buono, ci dice velatamente il nostro caro Ur-musicofascio, allegando insulti quali: “Jazzisti snob”, “Classicisti radicali”, “I conservatori e le scuole di musica sono un covo di perdigiorno”.
Qualsiasi intellighenzia musicale è da abolire, perché si discosta dal valore del “voglio suonare solo quello che mi viene, senza farmi condizionare da nessuna tradizione…che non sia la mia!”

  1. Non si accettano critiche.

Qui vale la pena citare l’intero paragrafo “Lo spirito critico opera distinzioni, e distinguere è un segno di modernità. Nella cultura moderna, la comunità scientifica intende il disaccordo come strumento di avanzamento delle conoscenze. Per l’Ur-fascismo (e quindi per l’Ur-musicofascio, il disaccordo è tradimento.” Ovvero: se una critica o un errore aiutano a migliorare ed infine a scoprire e sperimentare, ciò è sbagliato, poiché una verità assoluta esiste già e l’Ur-musicofascio non trova motivo di scostarsene.

  1. Il disaccordo è inoltre un segno di diversità.

L’Ur-musicofascio cresce e cerca consenso alimentando ed esacerbando la paura della diversità. Nessun genere nuovo, nessuno strumento o tecnica innovativa o musica di altre culture, il nostro "amico” è un razzista musicale.

  1. L’Ur-musicofascio è il risultato di una frustrazione personale.

Un errore commesso in passato, un disagio derivato dall’approccio sbagliato alla musica, un’umiliazione subita, un risultato non raggiunto, una capacità non sviluppata per pigrizia o per una condizione soggettiva, tutti questi ed altri ancora possono essere i motivi per cui nasce un Ur-musicofascio. Additerà sempre qualcun altro per le sue mancanze.

  1. A coloro che sono privi di una qualsiasi identità musicale, l’Ur-musicofascio gliene dà una; appioppa privilegi e li fa sentire a casa, li inserisce dolcemente nella propria nicchia. Chi viene accolto diventa il migliore di tutti perché magari suona lo stesso strumento, o ascolta gli stessi artisti, o lo stesso genere musicale. Una volta dentro la nicchia degli eletti superiori, il resto sono nemici. Maldicenze e pettegolezzi aiutano a creare una comunità forte e musicalmente refrattaria.

  2. L’Ur-musicofascio e i suoi seguaci devono sentirsi umiliati dalla strumentazione e dalla bravura altrui.
    Ma tutto questo non serve a deprimersi, ma alimenta l’invidia e accresce uno spirito competitivo negativo. L’Ur-musicofascio e i suoi seguaci devono però essere convinti di essere i migliori di tutti. In questo modo però sono condannati a non migliorare mai e ad essere sempre gli eterni secondi (ma anche terzi, quarti, quinti…ultimi) essendo oltretutto incapaci di valutare oggettivamente le competenze degli altri, sottovalutandoli, e la propria.

  3. Per l’Ur-musicofascio la competizione è continua, è una lotta per la durata di una vita con gli altri musicisti; lo scambio di opinioni, le conversazioni civili e le collaborazioni sono una collusione con il cosiddetto nemico, un adeguamento agli altri, quindi negazione del proprio essere, degradazione dell’Io dell’Ur-musicofascio. Eliminare i concorrenti è la necessità primaria, poiché per lui non c’è spazio per tutti. Rimarrà così un solo musicista, lui, che nessuno dopo un paio di date vorrà più perché non avrà abbastanza repertorio per coprire i gusti di tutti gli ascoltatori. Perché distruggere la varietà distrugge la musica.

  4. Arriviamo così ad un’altra contraddizione. Pur volendo eliminare la concorrenza, non ci possono essere i migliori senza i peggiori, dunque l’Ur-musicofascio e il suo seguito, per proclamarsi come migliori, hanno bisogno di musicisti considerati inferiori, posti su vari livelli di una piramide, dove chi se la tira di più, umilia quello con l’autostima più bassa sotto di lui e così via a seconda del livello in cui uno si pone.

  5. In questo modo chiunque può salire la piramide, aspirando a diventare uno dell’élite, il musicista che tutti invidiano; la frase tipica è “La musica è sacrificio!”. Facendo rincorrere falsi miti, proponendo verità assolute preconfezionate, si boicottano i colleghi invitandoli a sacrificare qualsiasi aspetto della loro vita pur di raggiungere l’obbiettivo, inutile ed irraggiungibile, di sentirsi migliori degli altri. “Sacrificio!” urla l’Ur-musicofascio dall’alto della falsa piramide. Ma lui non si sacrifica. Lui manipola.

  6. L’Ur-musicofascio è misogino e ha il “complesso di castrazione”.

Trasferisce le sue velleità su questioni sessuali, evidentemente non avendo più altre scuse da usare per la sua incompetenza. Per questo musicista le donne sono inferiori, ostenta perciò un machismo arrogante e viscido nei confronti delle colleghe, più o meno alla luce del sole.
Per quanto riguarda il “complesso di castrazione” occorre una piccola premessa: in inglese suonare si dice to play, la musica par quasi un gioco così, un gioco che l’Ur-musicofascio vuole vincere, ma siccome è un gioco difficile da giocare e lui non ne ha la stoffa, lo vuole vincere vantandosi delle proprie capacità presunte o della propria strumentazione. “Ho suonato più veloce” “Ho lo strumento costruito meglio” “Ho composto 30 canzoni in una giornata”. Ha probabilmente paura di perdere la sua posizione predominante, una perfetta metafora della perdita fallica maschile.

  1. Il dittatore interprete.

L’opinione dei colleghi è irrilevante e, secondo il nostro ormai noto Ur-musicofascio, non in grado di trasmettere le corrette informazioni a chi di musica non se ne intende. Si erge così il lato dittatoriale del nostro protagonista: costui si ritiene in grado di tradurre i pensieri degli altri musicisti e farsi portavoce della verità. I colleghi da lui ritenuti inadeguati all’espressione musicale, vengono in questo modo utilizzati come una entità monolitica su cui appoggiarsi per creare una finta “volontà comune”. I colleghi musicisti così sono solo una finzione teatrale, la finta voce del popolo dei musicisti, mal riproposta dall’Ur-musicofascio a chi di musica vorrebbe sapere qualcosa. E guai a contraddirlo, infedeli, la voce dei musicisti ha parlato.

  1. L’Ur-musicofascio parla la neolingua. (citazione da 1984)

Ovvero, per farsi capire dai non addetti ai lavori, utilizza “un lessico povero e una sintassi elementare, al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico”, in questo modo si assicura che nessuno possa soppiantarlo, che nessuno possa contraddirlo e che nessuno tra i non musicisti possa approfondire, rimanendo così in una posizione privilegiata dove chi non ne capisce, si ritrova semplicemente ad ammirare una vuota retorica che non serve a nulla e non porterà a nulla.

Esiste però anche il caso opposto, un Ur-musicofascio talmente preso dai termini tecnici che risulta uno specchietto per le allodole, inganna con paroloni i semplici ascoltatori che rimangono abbagliati dagli unici 3 termini che il nostro “amato” protagonista ha imparato a memoria senza saperli esporre e che continua a ripetere enfatizzandoli scandendo bene le sillabe per creare più pathos. Si ritorna quindi come sopra: si ammira una vuota retorica che non serve a nulla e non porta a nulla.


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Scritto da Emanuele Ruggiero

Soggetto di Umberto Eco, Emanuele Ruggiero, Benito Mussolini

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PS: Sfortunatamente per il mondo della musica, mentalità del genere sono esistite, esistono ed esisteranno sempre, con le loro contraddizioni, la confusione e le nebulose affermazioni. Sappiate scegliere bene i vostri compagni, riconoscete anche voi i sintomi portati dal germe della chiusura mentale.